THAILANDIA
2015 24.03-26.03 SURATTHANI Avendo tempo da perdere, mi fermo a Suratthani, che
spesso è solo l'approdo per chi viene in traghetto dalle isole
alla terraferma, due notti.
Mi fermo a guardarli perché in gioventù ho provato a farlo anch'io,
e ogni volta mi sembrava impossibile, e lo penso ancora, colpire
quella palla senza provare un dolore rovente agli arti inferiori.Sono contento di essere in una città, perché l'unica cosa che mi è forse mancata al mare, è stata l'inevitabile dipendenza che sono riuscito a prendere negli ultimi anni, ovvero il camminare a lungo e a caso. La prima sera esco dall'albergo e subito sbaglio strada, andando dalla parte opposta rispetto alla zona centrale, e camminando alla deriva arrivo in un quartiere polveroso in cui due coppie di ragazzi stanno giocando a calcio-tennis con la classica piccola palla di vimini thai. Loro invece la fanno sembrare di piume. A un lato della strada c'è un canale di acqua scura e al suo interno delle piante enormi, con foglie di mezzo metro, verdissime e sproporzionate, e poco lontano vedo un grande edificio pieno di balconi, torri e piccole finestre, che sembra quasi abbandonato. E' la moschea di Suratthani, ed è un' apparizione. E' chiusa e quindi l'interno non lo vedo ma mi fermo a guardare i suoi muri e i suoi minareti che una volta erano bianchi e ora a causa dell'umidità e delle piogge sono diventati grigi e sfumano nel nero. Mentre fa ombra al tramonto sembra un castello decadente delle Mille e una Notte, destinato a sparire ogni sera per poi ricomparire immacolato all'alba, come se si consumasse ogni volta nel tempo di un giorno. Non so perché ma mi immagino che di notte nella moschea restino solo Byron e Shelley a fare a gara a chi beve più laudano prima che arrivi il mattino. Quando torno sulla strada principale è già buio, le insegne e le vetrine sono illuminate ed è così che mi accorgo che praticamente non c'è nessuna scritta in inglese. Nella mia vaghezza riesco solo a pensare: fino a stamattina ero a Koh Samui e a Koh Phangan, ora sono in Thailandia. Mi accorgerò presto che in realtà sulle isole anche tutti i cartelli stradali sono in inglese ma non è la norma, e sopratutto che esistono moltissimi thailandesi che non parlano una parola d'inglese. In un totale rovesciamento dei ruoli, quando il giorno dopo mi fermerò sfinito in un ristorante a caso a bere una Coca, mi chiederanno se parlo Thai. Andando alla consueta ricerca della birra della sera, qui decisamente più complicata del solito, mi perdo dalle parti dell'Ospedale. Bevo infine una Chang a un incrocio e poi chiedo informazioni stradali ai camerieri, che come spesso in Thailandia, sono in numero esorbitante rispetto non solo alla clientela ma anche alla dimensione del locale. Immagino che un cameriere non costi nulla, è l'unica ragione che mi viene in mente. La cameriera che mi disegna una mappa improvvisata su un tovagliolo di carta è una ragazzina, porta l'apparecchio per i denti e ha due grandi occhi verde acqua che in un veloce futuro si lasceranno alle spalle intere risaie di cuori infranti. In una città che a parte per il mercato notturno, che spesso viene visitato con lo zaino in spalla mentre si aspetta il treno per Bangkok, è lontana dal turismo, trovo o ritrovo le famose ospitalità e cortesia thai. Come ho già detto altre volte non ho mai creduto, almeno per la mia generazione, ai Thai come al “popolo del sorriso”, e tutt'ora le persone più incredibilmente e sinceramente cordiali che ho mai incontrato sono stati gli americani (ma molti dicono siano gli africani, che purtroppo mi mancano). I Thai comunque, sopratutto quando lontani dal turismo, sono decisamente molto gentili ed ospitali, e probabilmente in alcuni casi anche la forma delle loro azioni è molto vicina alla nostra immagine gestuale di cortesia o di accoglienza. Nelle isole e talvolta pure a Bangkok, in effetti la percezione può decisamente essere minore, perché alla fine il turismo di massa, di cui io sono un esempio, ha lasciato e continua a lasciare le sue tracce distruttive. Diciamo che nelle isole, a parte rari casi e le famose truffe sul noleggio dei motorini, sono comunque gentili perché sanno bene che i SUV li hanno comprati coi soldi dei turisti, e che se i turisti venissero a mancare, si ritroverebbero a vivere nel villaggio di pescatori della loro infanzia, solo pieno di ATM spenti e 7/11 in rovina. La Thailandia resta comunque un paese decisamente onesto, con una percezione di sicurezza quasi sempre massima, in cui ti puoi fidare delle agenzie di viaggio, facile da viaggiare e in cui si mangia benissimo. Al contrario di altri paesi del sud est asiatico, per non parlare dell'India, è anche un posto in cui è molto facile rilassarsi, o per dirla in due parole, i rompicoglioni sono abbastanza pochi. Per certi aspetti, per me personalmente è anche troppo “svizzera”, troppo rigida, o quantomeno si atteggia ad esserlo. Come nella battaglia contro il fumo, le retate in strada di motorini, la minaccia di multa e/o prigione per un'infinità di cose, gli apparentemente infiniti divieti. Certo, da un punto di vista europeo sono evidenti alcune pittoresche contraddizioni. Puoi portare a scuola i tuoi tre figli su un motorino solo, ma se butti una sigaretta per terra sono 60 euro di multa. La prostituzione è formalmente illegale, e mentre lo scrivo persino la mia tastiera non riesce a smettere di ridere. Ci sono alberghi in cui alla Reception ti fanno compilare un modulo con così tanti dati che ti sembra di essere in lista per la visita a un sottomarino, altri non ti chiedono nemmeno un documento. Un italiano con cui ho parlato guardando un Gran Premio mi ha detto che stanno cercando di diventare come Singapore, anche se con alterne fortune. A Singapore non sono mai stato, non ho dubbi che sia un paese modello in cui la povertà e la disoccupazione sono state debellate ma tutti quelli che me ne hanno parlato l'hanno sempre anche descritto come uno dei posti più noiosi del mondo. Non ci sono appunto mai stato, quindi sono parole a caso, spero però che la Thailandia non diventi noiosa. Sempre senza dimenticare comunque, che a parte Terzani, in Thailandia siamo sempre tutti Farang. Farang è la parola thai per identificare i caucasici, le persone di razza bianca, insomma più o meno gli occidentali. Al di là comunque del colore della pelle i Farang (tra cui naturalmente ci sono anch'io) non sono difficili da riconoscere: Chi beve birre alle 10 del mattino? Chi guida e cade sbronzo o stonato in motorino? Chi entra all'Ufficio Postale a torso nudo e nei supermercati in bikini? I Farang. Chi beve cocktail da secchielli di plastica da spiaggia? Chi si dipinge durante il full moon party di Koh Phangan con vernice fosforescente? Chi ha più tatuaggi di un lottatore di Muay Thai? I Farang. A volte mi sembra che i Thai ci guardino anche con una rassegnata tenerezza, come quando perdiamo la strada in paesi grandi come un accendino. Allora immagino le madri indicarci ai loro bambini: “Guarda, quello è un Farang. Lo so, ha l'età di tuo padre ma si perde ancora in queste tre strade. Ma che ci vuoi fare, è un Farang.” Può essere terribile a pensarci ma in effetti la diversità culturale tra i thailandesi e gli occidentali, è enorme. Ormai li vedo pochissimo curiosi nei confronti del turista ma non riesco del tutto a biasimarli, perché sopratutto a Bangkok e sulle isole ho visto una quantità di stranieri pochissimo curiosi della Thailandia e questo è ancora peggio. Non è un giudizio morale, ognuno viaggia come vuole, ma non vedo perché dovremmo pretendere di essere trattati come Principi soltanto in quanto turisti, o stranieri. Al contrario di quanto si possa pensare, la Thailandia non vive grazie al turismo, che occupa comunque una rilevante percentuale delle sue entrate, è uno dei più grandi esportatori di riso e tapioca del mondo. La parola Farang è certamente nel tempo diventata anche dispregiativa ma d'altra parte la maggior parte dei comportamenti dei turisti sono incomprensibili per loro. Anche perché, come già il Messico, la Thailandia, sopratutto le isole, viene vista da molti turisti come uno di quei posti “free” in cui poter fare le cose che non si possono fare nel proprio paese. Se vuoi girare per strada scalzo, sporco e con la maglietta bucata in effetti nessuno ti dirà nulla ma non vedrai mai un thailandese che non sia un mendicante fare lo stesso. Stesso discorso vale per gli americani e i canadesi in Messico, secondo me. In Messico tra l'altro mi domandavo: ma se il tuo sogno è girare vestito di stracci e bere birra finché non svieni al sole, perché diamine fai il concessionario d'auto in Colorado? Sono chiaramente opinioni personali e al limite del superficiale, e ho parlato con persone che la pensavano diversamente. A Siem Reap un belga diceva più o meno che i Thai “hanno la puzza sotto il naso”, e talvolta è certamente vero, anche se con alcuni Farang che conoscevano da anni li ho visti teneri e pieni di rispetto ed amicizia. Sempre in Cambogia, a Battambang, uno svedese aveva invece opinioni decisamente opposte alle mie. “In Thailandia? Mai più, nemmeno se mi pagano” mi ha detto, “Ci ho vissuto due anni. Un paese di merda, un popolo di criminali” Il problema è che diceva solo queste mezze frasi piene di disprezzo a cui però non faceva mai seguire una spiegazione, il che rendeva la conversazione a tratti inquietante. Suratthani mi offre dell'ottimo cibo a prezzi irrisori, bei templi cinesi, con le consuete colonne avviluppate di draghi, un fiume così tranquillo da sembrare quasi misterioso, locali di karaoke in cui la mia religione mi impedisce di entrare, una shrine bianchissima con dentro un Buddha tremante di foglie d'oro, che in quel momento è anche l'occasione per un set fotografico matrimoniale. Non sono certo che non fosse, come una volta in India, in realtà un set pubblicitario, ma anche in questo caso gli attori recitavano comunque perfettamente la parte degli innamorati per l'eternità, lui vestito a metà tra un DJ e un Maraja, lei una specie di farfalla indocinese leggera leggera. Anche il Night Market, dove ceno accanto a due ragazze vestite come Lisbeth Salander non è male, è ancora fresco, nonostante sia in assoluto il luogo più visitato dai turisti. Da Suratthani torno ovviamente a Bangkok di cui però non scrivo. E' forse la capitale estera in cui sono stato più volte ma non posso dire di conoscerla. Negli anni le attrazioni le ho viste credo tutte ma la città ha un fascino così totale che sono comunque sempre contento di ritornarci. Al contrario di altre capitali del mondo, che i turisti sfuggono o usano soltanto come punto di partenza o d'arrivo non ho mai conosciuto né chiacchierato con nessuno che non fosse entusiasta di Bangkok. 01.04-04.04 AYUTTHAYA Arrivo ad Ayutthaya in treno e lascio la mia valigia nella cloak room della stazione prima di andare nel soi 2, la mini enclave turistica, a cercare un albergo. Purtroppo o per fortuna, prendo un tuk tuk. Ad Ayutthaya i tuk-tuk hanno una forma unica e particolare, almeno per quanto riguarda la Thailandia. Al contrario del solito, la scocca ricopre anche tutta la parte della ruota anteriore, assomigliano decisamente al casco di Darth Vader in Star Wars e quando sono nuovi e di colori impensabili sono favolosi. Ciò non toglie ovviamente che se c' è davvero un Dio qualunque, allora deve esserci per forza anche un Inferno crudele dedicato esclusivamente ai guidatori di tuk-tuk thailandesi e cambogiani, ai mototaxi vietnamiti e ai rickshaw driver indiani. Se si fa una seduta spiritica e si evoca Dante, non si fa nemmeno in tempo a chiedergli come sta che ti sta già dicendo di quanto sia desolato di non poter aggiungere alla Divina Commedia il girone dei guidatori di tuk tuk. Il soi 2 è una piccola strada in cui si concentrano le guesthouse, i ristoranti e le agenzie di viaggio, dove praticamente ci sono solo turisti e spesso si mangia anche malissimo perché tanto i gestori dei ristoranti sanno che al massimo dopo due giorni tutti se ne andranno e non torneranno probabilmente mai più. Questo perché ad Ayutthaya, che per quattrocento anni è stata la capitale del Siam, ci si viene per vedere i templi del Parco Storico. Prima di quelli, camminando sotto il sole, arrivo a vedere un antico ma tutt'ora in funzione tempio buddhista, dove la cosa che mi colpisce di più in realtà sono le innumerevoli statue di galli. Hanno dimensioni diverse anche se quasi tutte la stessa forma, un gallo nero e fiero, e sembrano essere dappertutto. Alcuni sono alti come un uomo, altri più piccoli sono disposti a decine sui lati interni del tempio, davanti a quelle che mi sembrano urne funerarie. Dopo aver dormito un mese in Messico accanto a dei galli, io li sterminerei tutti e mi accontenterei del pollo sintetico, tuttavia memorizzo anche questa stranezza tra le ignoranze da colmare. Ogni volta che entro in un tempio buddhista, così pieno e denso di simboli, mi accorgo di non saperne nulla. Se poi si aggiungono anche eserciti di statue di galli, la cosa si fa un po' troppo astratta. I galli di Ayutthaya comunque, rappresentano, o raccontano, se ho capito bene, una vicenda mitico-storica, cioè più o meno una leggenda. Sembra che un antico re Thailandese, fatto prigioniero dai Birmani, abbia vinto la libertà e di conseguenza la sua patria, scommettendole in un combattimento di galli, di cui era appassionato ed esperto, col Re della Birmania. Non ho ancora guardato se ci sia e quale sia, un'eventuale versione birmana di quest'episodio. L'attuale Re della Thailandia, Rama IX, è il sovrano dal regno più longevo e dal patrimonio più ricco, circa trentadue miliardi di euro, narrano le cronache. E' leggendario che se si calpesta per sbaglio una moneta ti mettano in prigione ma i guai sono certi se si strappano volontariamente delle banconote, che hanno tutte, sopra, l'immagine del Re. La pena per aver offeso il Re può arrivare fino a 50 anni di carcere, con l'aggravante che qualunque giudice per non sembrare irrispettoso nei riguardi del sovrano, farà sempre di tutto per darti la pena massima, o almeno così si dice. Quindi, come in Argentina non si parla delle Falkland, in Thailandia non si parla del Re. Il Re sembra essere amatissimo dai thailandesi. Le sue fotografie sono dovunque, anche se spesso lo ritraggono in età molto più giovane. C'è una sua immagine che mi incuriosisce da sempre e che è la mia preferita, perché il Re mi sembra un viaggiatore. E' vestito in borghese e non in costume regale, e ha una macchina fotografica vecchio stampo a tracolla. Non sono mai riuscito a spiegarmi però in nessun modo il walkie-talkie che tiene in mano. Con chi sta parlando? O forse è un antico telefono cellulare? Devo chiedere ma spesso non so come. L'immagine del Re, di ogni dimensione, è per le strade, all'ingresso delle città, davanti ai parchi e alle scuole, nei calendari, nei quadri e nelle fotografie in tutti i luoghi pubblici, nei templi, nei ristoranti. La scritta luminosa LONG LIVE THE KING spesso accende le creste dei grattacieli di Bangkok e decora i lunotti posteriori delle auto. Non ha un potere politico reale, la Thailandia è passata alla monarchia costituzionale negli anni '30 ed è governata ormai da parecchi anni da diverse giunte militari ma quando per esempio gli scontri tra due fazioni politiche bloccarono l'aeroporto di Bangkok, fu infine il Re ad intervenire, rimproverandoli per il fatto che stavano rovinando l'economia del paese. E i dimostranti in effetti tornarono a casa. Ci sono ovviamente anche oppositori del Re, ma ne so troppo poco e il discorso diventerebbe complicato, e si arriverebbe probabilmente a parlare della fragilità se non addirittura dell'apparenza della democrazia della Thailandia, che per esempio nelle classifiche sulla libertà di stampa e di espressione certamente non brilla. Tutti i reali hanno una bandiera, anche se solo quella del Re e dei suoi congiunti più prossimi viene mostrata continuamente in pubblico. La bandiera del Re, che si vede ovunque per le strade della Thailandia, è gialla, perché è nato di lunedì. I colori dei giorni della settimana sono una delle bellissime idee vitali del buddhismo, e non è raro vedere i thailandesi vestirsi secondo il colore della giornata, mentre altri dovrebbero indossare tutti i giorni qualcosa del colore del giorno in cui sono nati. Questo mi fa pensare al loro smodato e per me a tratti incomprensibile, amore per le uniformi. Dagli scolari vestiti da boy scout o da ragazzo della Via Pal, ai liceali vestiti da bancari o da agenti dell'FBI, fino alle universitarie in minigonna e ai commessi dei negozi e dei supermercati, i thailandesi sembrano adorare indossare un'uniforme, o anche un piccolo segno di riconoscimento che dimostri la loro appartenenza a qualche gruppo, che sia una cravatta o una spilla o una targhetta colorata. Ci sono momenti della giornata, quando gli studenti escono dalle scuole per esempio, che le strade si riempiono di piccoli eserciti disarmati di bambini e di ragazzi, e quando si mischiano a volte fanno pensare alle gangs degli anni '50, tutti così giovani, pettinati e allegri. INTERMEZZO N.1: Dialogo quasi esemplare tra un turista dalla testa verde e la signora che gestisce la Guest House: “Boat Trip?” “Sono appena arrivato, faccio due passi” “Tomorrow?” “Forse, ma non penso” “Tomorrow?” “Credo di no” “Tomorrow?” “Io odio le barche, miss” “The day after tomorrow?” LOPBURI Sono venuto ad Ayutthaya anche per la sua vicinanza con Lopburi, che raggiungo col treno più economico del mondo. Lopburi è famosa per essere infestata di scimmie. Una parte della piccola città è in ostaggio di centinaia di macachi che si arrampicano sui fili elettrici, danzano sui cornicioni degli alberghi, rubano cibo, cappelli, portafogli e cellulari, scalano le autopompe dei pompieri, si siedono a riflettere sui frigoriferi dei ristoranti. I guardiani del tempio che le scimmie hanno scelto come casa portano fionde alla cintura, le donne addette alle pulizie li cacciano con delle scope, altri con bastoni, urla, tubi dell'acqua usati come fruste. In molti altri paesi le strade sarebbero piene di scimmie impiccate ai semafori, qui a salvarle è il meraviglioso (e quanto deve essere difficile a volte) amore buddhista per tutte le creature viventi. Le scimmie vengono nutrite due volte al giorno, a spese della comunità, per evitare che calino in massa sugli abitanti ed esproprino i supermercati, come in un B-Movie di fantascienza. Non posso assolutamente fare a meno di ridere. E non posso nemmeno fare a meno di pensare a come a volte le conseguenze delle scelte possano rivelarsi decisamente imprevedibili. Mi chiedo se quando gli abitanti di Lopburi hanno deciso di avere un rispetto meraviglioso per tutte le creature viventi, abbiano sospettato che un giorno l'esercito delle centomila scimmie avrebbe considerato per sempre la loro piccola cittadina come la Tortuga, o come Las Vegas. Il tempio delle scimmie è comunque piuttosto bello e sopratutto decisamente ben conservato, per quanto le scimmie restino la principale attrazione. Sono in effetti centinaia, assolutamente padrone del luogo. Si può comprare del cibo da tenere in mano e diventare così una specie di grappolo di scimmie umano, ma restando comunque un po' nel sito non è complicato interagire, anche involontariamente, con questi tre milioni di macachi. Mentre stavo seduto all'ombra un paio di scimmie mi sono rovinate addosso lottando tra loro e poco dopo un cucciolo mi è balzato sulla schiena, ha esplorato l'etichetta della mia camicia e poi è tornato ad accapigliarsi coi fratelli. Degli altri due luoghi a pagamento di Lopburi, solo le rovine di fronte alla stazione hanno una loro bellezza mentre la ex residenza dell'ambasciatore, un tempo forse magnifica, è davvero impossibile da riconoscere, più che rovine sono ruderi. Venendo dal mare, e sopratutto essendo vittima del crollo dell'euro, scopro che fortunatamente a nord di Bangkok i prezzi sembrano tornare bassi. A Lopburi cinque ravioli ripieni di mistero e due involtini di tagliolini forse al tofu mi costano 20 bath, quando 35 sono 1 euro. Come considerazione tecnica, la prossima volta porterò con me molti più contanti, così meravigliosamente antichi e prevedibili. I bancomat thailandesi non solo, e questo lo sapevo, prendono 180 Bath di commissione per ogni operazione ma, e questo forse non me lo ricordavo, applicano anche sempre tassi di cambio lontanissimi da quello ufficiale, ai limiti dell'usura e della nostalgia del cambio in nero. TRENO Ci sono alberi in fiore dappertutto. Da alcuni pendono come lanterne grappoli di piccoli fiori giallo brillante, altri che mi sembrano piccole magnolie e che i Thai usano anche per decorare gli spazi pubblici, hanno invece fiori bianchi e rossi, dai petali umidi (mai come quando viaggio mi rendo conto della mia colpevole ignoranza della flora e della fauna). Dove finisce la pianura, vedo delle montagne lontane sotto la luna piena che è già in cielo, sulle risaie e nei campi volano a decine uccelli simili a cicogne o ad aironi, e altri più piccoli, che sembrano indossare un gilet di terra bruciata sul corpo nero come quello di un corvo, saltano tra i fossi. Ci sono strane oasi, che non so se immaginare artificiali, con al centro immobili pozze d'acqua ricoperte di ninfee e dal finestrino opposto al mio vedo che il sole che scompare all'orizzonte è diventato un pianeta rosso scuro. Gli altri passeggeri sono studenti in divisa scolastica o persone vestite di viola in omaggio alla figlia più giovane del Re, che ha compiuto gli anni il 2 aprile, e che è nata di sabato. Un giovane monaco arancione sta in piedi accanto alle porte d'uscita aspettando la prossima fermata. La Thailandia, anche vista da un treno di terza classe, è bellissima. Uno dei pregi di Ayutthaya è che quasi tutti i suoi siti storici sono inseriti all'interno della città, anche se quelli a pagamento sono naturalmente recintati. La maggior parte è raggiungibile a piedi o in bicicletta ed è impossibile non trovarli, perché una cosa che mi stupisce della città (a parte i tuk-tuk da copertina di Urania) è che le sue strade disposte quasi a scacchiera, sono enormi, larghissime, almeno nel periodo in cui c'ero io, assolutamente sproporzionate al traffico che le percorre. Sembrano piste d'atterraggio. Il sito più famoso, che è anche il simbolo di Ayutthaya, sono i tre chedis (stupa buddisti in pratica, ovvero costruzioni di solito a piani sovrapposti che sfumano verso l'alto per finire con una punta, e che dovrebbero rappresentare simbolicamente la testa del Buddha), che in effetti sono bellissimi, enormi, e conservati benissimo. La parte che mi piace di più però del Parco Storico è quella immersa in un giardino gigante di piccoli laghi e di ponti, che ha qualcosa di disordinato e quindi anche di selvaggio, e tra cicogne che litigano e aironi che meditano, ci sono templi a volte in parte diroccati, con statue del Buddha insensibili alle intemperie e infinite sale di preghiera dalle colonne spezzate. 05.04-09.04 SUKHOTAI Non noleggio quasi mai un motorino, nemmeno sulle isole. La prima ragione è che con poca sobrietà e genetica distrazione, mi ci ammazzerei sopra. La seconda ragione, di cui vado meno fiero, è che non voglio occuparmene. Non voglio fare benzina, aggiustarlo quando si rompe, ricordarmi dove l'ho parcheggiato, riportarlo prima di partire. Non è una grande idea, spendo di più per i trasporti e talvolta rischio l'infarto camminando sotto il sole di mezzogiorno, raro turista senza capelli ostinatamente senza cappello. Il parco storico di Sukhothai però è troppo vasto perché lo si possa visitare a piedi, e non amo particolarmente i tour in tuk tuk, perché mi tolgono l'imprevedibilità e sopratutto la libertà assoluta, sopratutto quella di cambiare idea o magari di restare immobile in un posto 4 ore invece che dieci minuti. Inoltre i tuk tuk vanno bene per andare da un posto a un altro, ma non se si vuole vedere anche quello che c'è in mezzo, perché la vista che si ha dal sedile di un tuk tuk è quasi sempre nulla. Così vado al Parco su una specie di camion coperto ma con i lati aperti che va a 9 Km. all'ora che fa da trasporto pubblico e poi noleggio una bicicletta, che è forse il modo migliore di spostarsi. Oltre alla parte centrale del Parco, più ordinata e più ricca rispetto ad Ayutthaya, in bicicletta si può tranquillamente visitare tutto, favolosi templi in rovina circondati di prati, vicino a laghi verdi dove i thai fanno fare il bagno ai loro coraggiosi bambini, sculture di elefanti, l'argine del fiume con le antiche mura, il favoloso Buddha seduto, che appare attraverso una breccia che sembra una ferita nella pietra del Wat Si Chum. Il Parco di Sukhotai è favoloso, probabilmente oltre che più vasto, anche più affascinante di quello di Ayutthaya. Direi che come per l'India si dice che tra Ajanta ed Ellora, se hai una sola possibilità dovresti scegliere Ellora senza esitare, anche qui tra Ayutthaya e Sukhotai, a mio parere Sukhotai vince a mani basse. Tra l'altro anche la città, con le sue strade piene di mercati e negozi, i suoi caffè e ristoranti, il fiume e qualche bel tempio moderno sia cinese che thai, è molto più interessante di Ayutthaya, è più viva. E' appunto in un caffè di Sukhotai che conosco John, norvegese. Lavora per una ditta che produce una sorta di elisir miracoloso a base di mirtilli e altri ingredienti segreti, che dovrebbe curare parecchi mali e malanni. Capisco che non è un ciarlatano quando dopo avermene parlato, si limita a darmi un biglietto da visita e ad invitarmi a visitare il sito web dell'azienda per cui lavora. E mi fa ridere quando al mio scetticismo risponde dicendomi che ai clienti in Norvegia danno un mese di garanzia. “Se entro un mese non ti è passato il male per cui avevi comprato il prodotto, ti restituiamo i soldi.” mi dice serio, poi aggiunge sorridendo: “ Lo facciamo solo in Norvegia però. Ci sono altri paesi in cui la gente si taglierebbe un braccio e darebbe la colpa al nostro prodotto solo per avere i soldi indietro.” Poi mi presenta la sua socia, con molta deferenza. E' una donna di mezza età thailandese leggermente sovrappeso che trasmette un'immagine di solidità e di sicurezza. Come dice John quando la socia non fumatrice ritorna a godersi l'aria condizionata del locale, è una donna di potere, assolutamente indispensabile alla sua ditta per commerciare senza problemi in Thailandia. Mi fa anche notare come in Thailandia molto spesso siano le donne in realtà a comandare, a decidere, ad avere l'ultima parola su una questione economica importante. Nella mia esperienza di turista mi trovo d'accordo. Quasi sempre se bisogna parlare di soldi, chiedere sconti e così via, è una donna che arriva o che viene chiamata per dire sì o no. Il giorno dopo noleggio un'altra bicicletta e vado nella parte occidentale, dove i templi sono molto più distanti tra loro. Oltre ai guardiani dei siti archeologici, che spero per loro vengano pagati anche in oppio, ci sono soltanto io, stonato sulla strada deserta che attraversa una campagna piatta, brillante di calore e annebbiata dal fumo dei fuochi che i Thai accendono per bruciare le stoppie (o così credo). Molti turisti vengono, anche se lo immagino faticoso, a Sukhotai in giornata, e quindi vedono solo la parte centrale del Parco, più compatta e certamente la migliore dal punto di vista della qualità delle rovine. Eppure alcuni siti della parte occidentale sono piuttosto spettacolari. Il loro difetto è che i più belli sono sulle colline tra i boschi, quasi sempre raggiungibili soltanto attraverso maledette e improvvisate gradinate di pietra, il loro pregio è che sono solitari e immersi tra gli alberi come asteroidi dimenticati, anche se osservando le candele, i nastri, le piccole statuette del Buddha sugli altari, c'è sempre evidentemente qualcuno che sale la collina e li mantiene in vita. Comincio a scoprire che la Thailandia non è solo spiagge magnifiche ma anche boschi misteriosi ed aperti, che sembrano in questa stagione un deserto di alberi addormentati in attesa delle piogge. C'è pochissimo verde, non c' è sottobosco, e gli alberi sono piccoli e spesso distanti tra loro, è raro vederli toccarsi o aggrovigliarsi l'uno all'altro, come se un orientale senso del pudore si fosse trasferito anche ai tronchi, ai rami e alle foglie. Sono boschi leggeri, e sembrano fragili. Dopo l'ennesima salita rovente fino a una serie di rovine mi siedo su un masso a fumare. Guardo un enorme chedi attraverso le foglie secche e i rami a forma di serpente di un albero incomprensibile, e nonostante stia per morire di sete e sogni un autista con una doccia portatile, mi trovo bene e abbastanza in pace. 10.04-12.04 LAMPANG Mi fermo a Lampang per spezzare il viaggio, e a parte il fatto che dormo in un albergo il cui unico fascino è la stanza arredata durante la Guerra Fredda, è una buona idea, perché è una città poco turistica ma con bellissimi templi, un bel fiume e una piacevole atmosfera. A Lampang vedo per la prima volta dei templi nello stile Lanna, che vedrò poi successivamente in tutta la Thailandia del nord. Una caratteristica comune dei templi thai, sia che siano antichi o moderni, sia che siano in stile Lanna o meno, è che quasi sempre sfiorano il limite del kitsch ma senza mai attraversarlo, e per questo mi ricordano le cattedrali gotiche, e anche probabilmente il Duomo di Milano. Davanti alla guesthouse in cui vado a bere un espresso c'è un tempio che è completamente bianco e rivestito di piccoli frammenti di specchio. Verso sera, prima che il sole tramonti, le sue colonne, i suoi tetti curvi da cui spuntano le decorazioni architettoniche a forma di collo di cigno, le sue statue e i suoi bassorilievi, diventano quasi d'argento. E' come se l'architetto avesse detto: vi do tutta la bellezza che posso, mi fermo giusto un granello di sabbia prima di perderla e trasformarla in volgarità. Decisamente notevole, insomma. A Lampang seguendo il fiume arrivo anche a vedere la Baan Sao Nak, una bellissima casa antica la cui caratteristica principale è che è sorretta da 116 pilastri in tek. La casa ora è stata trasformata in Museo e ospita interessanti fotografie della proprietaria e molti bellissimi pezzi databili direi tra l' 800 e il '900, come pesanti giradischi, affascinanti macchine fotografiche, arredamenti e oggetti d'epoca. Non è niente male, è un bel viaggio nel passato all'interno di un curatissimo giardino, i turisti sono quasi inesistenti e le signore che gestiscono il posto accolgono i visitatori con biscotti, bevande fresche e una lenta cortesia d'altri tempi. Subisco da sempre, non so perché, il fascino dell'Indocina del secolo scorso, e in quella casa-museo ce n'è parecchio. Verso sera mi fermo in un bar all'aperto a bere una Chang e dopo il secondo sorso vedo cadere due gocce d'acqua sul mio tavolo. Conoscendo la rapidità delle piogge tropicali mi sposto subito al coperto, e in effetti in un attimo si scatena una bufera senza rifugio, in cui la pioggia è torrenziale, il vento è una follia anche troppo generosa, e l'acqua arriva alla conquista del mondo. Persino i camerieri ridono mentre cercano di proteggere i clienti e il palco (dove nessuno stasera suonerà) dall'enorme quantità d'acqua che cade all'improvviso alla velocità di un solo tuono. Mentre riparo il mio bicchiere, penso che la pioggia fa rumore di mitraglia futurista, ti spaventa ma con allegria, ed è forse l'unico modo che c'è di vedere qualcosa di simile a una guerra felice. So bene che per molti un temporale simile sarà tragico, una maledizione monsonica: il mercato di favoloso cibo da strada davanti al Parco sarà stato spazzato via, e l'orchestra che incredibilmente suonava musica sinfonica probabilmente sarà sulla Luna, eppure non riesco mai a non immaginare qualcosa di magico e di gioioso in una furiosa ed improvvisa tempesta. Nella mia mente ammorbidita dal viaggiare, dentro alla bufera ci sono gli spiriti che fanno scherzi d'acqua ai fantasmi, e la Natura che gioca. E c'è la certezza che in una nebbia di pioggia e di vento ci siano più cose straordinarie ed invisibili di quelle che vedono gli uomini spaventati come i loro antenati. E' poi, è iniziato il Songkran, il capodanno buddhista, che è anche la festa dell'acqua, e quindi forse non potrebbe esserci un'avanguardia migliore. 13-16.04 CHIANG RAI Per andare a Chiang Rai, sapendo che i bus dovrebbero esserefrequenti, mi presento in stazione spavaldamente senza biglietto. Salgo così per la prima volta (e forse pure l'ultima) su un normale autobus di linea thailandese: economico, pieno di ventilatori, antico, traballante e rumoroso come una fabbrica. Essendo l'unico turista, e anche l'ultimo a salire, ricevo un trattamento di favore: tutti i posti a sedere sono occupati ben da prima che io fumassi l'ultima sigaretta e per questo la bigliettaia mi cede il suo minisgabello di legno alto 30 cm. e mi fa accovacciare accanto all'autista per metà del viaggio. La strada, nonostante la giornata piovosa, è bella e verde, il bus corre lentamente tra le montagne, i boschi e le foreste dei Parchi Nazionali, sussulta per tornanti e salite e discese che per non volare via devo ogni volta compensare appoggiando una mano allo stipite della porta dell'autobus spalancata o alla poltrona dell'autista, a seconda della direzione della curva. Come previsto, a metà viaggio in effetti sull'autobus si libera qualche posto e posso finalmente sedermi. Anche se dire che stavo seduto è forse un po' azzardato. Non ci avevo forse mai fatto caso ma gli autobus di linea thailandesi hanno cinque o sei file di posti a sedere, e non sono larghi quanto per esempio uno scuolabus americano, sono semplicemente costruiti per gente spaventosamente piccola. Non è nemmeno una questione di spazio tra le gambe, è proprio che la schiena di qualunque occidentale è molto più larga del sedile che dovrebbe contenerla. Sono poltroncine per bambini, per gnomi, per folletti. Sedie per hobbit. Non arrivo a rimpiangere l'equilibrio stravagante dello sgabello di legno ma quando finalmente arrivo a Chiang Rai, per la prima volta in vita mia mi sento Gulliver. SONGKRAN Per non farsi mancare nulla, i Thai festeggiano tre capodanni. Il nostro, quello cinese in febbraio e il Songkran ad aprile, il capodanno buddhista, detto anche festa dell'acqua, che è la festa a cui certamente tengono di più. In pochissime parole: cinque giorni, a volte sei, di secchiate d'acqua per strada. La lunghezza apparentemente eccessiva della festa ha anche un motivo pratico, ovvero permettere a tutti di parteciparvi senza che le città chiudano totalmente. In effetti gli esercizi commerciali sono sempre mezzi chiusi, alcuni anche per tutta la durata del Songkran. D'altra parte, se tutti i giorni porti tutta la tua famiglia di nove persone sul retro di un pickup, alcuni armati di fucili ad acqua di ultima generazione, altri semplicemente di ciotole che riempiono da un barile e poi sciacquano sulla folla, non si vede chi potrebbe restare mestamente a tenere aperto un eventuale negozio. La cosa più bella del Songkran è che è superallegro e totalmente caotico. Un po' come in un Carnevale delle origini direi cadano anche le distinzioni sociali e di età. Ci sono anziani che innaffiano bambini, ragazzi che innaffiano signore, e ovviamente immagino, disoccupati che innaffiano banchieri. Essere bagnati porta comunque bene, quindi nessuno protesta. L'unico rispetto mi sembra sia dovuto ai monaci e, siccome il popolo Thai è estremamente civile, in parte anche ai turisti, a meno che non partecipino attivamente alla battaglia. Questo non significa che durante il Songkran io sia rimasto asciutto. Diciamo però che quasi sempre prima di inzupparmi mi permettevano di allontanare la borsa o la macchina fotografica. A parte i monaci (ma il Songkran ha anche un'importante dimensione religiosa), direi che tutti partecipino al Songkran. Si vedono i dipendenti degli alberghi, i commessi dei 7/11, i camerieri dei ristoranti, tutti almeno un giorno montano una tenda improvvisata, sparano della musica a palla, bevono birre e aspettano ai lati delle strade qualcuno a cui rovesciare addosso tonnellate d'acqua. Altri scelgono invece la via più mobile del retro del pickup, anche perché in quel modo si riesce a fare rifornimento d'acqua nei pozzi dei templi e anche dalle cisterne ai lati della strada, presumo messe appositamente per l'occasione dalla municipalità (che forse è la cosa che mi ha stupito di più). Ci sono sempre dei morti, come per ogni festa che si rispetti, ma al contrario di altre occasioni simili, come per esempio i carnevali brasiliani, la violenza sembra praticamente inesistente. Le vittime sono quasi tutte per incidenti stradali, dovuti all'ubriachezza o al vano tentativo di evitare una cascata d'acqua mentre in motorino stai andando a lavorare o tornando a casa. Se non si vuole indossare una camicia a fiori al di là dell'hawaaiano (vendute ovunque durante il Songkran e magnifiche nella loro incredulità), sbronzarsi alle 3 del pomeriggio e passare la giornata bagnati a combattere la guerra dell'acqua, bisogna schivare, cambiare lato della strada, cambiare strada, sperare che qualcuno comunque con la sua pistola ad acqua dalla gittata di dieci metri non ti innaffi la schiena. Questo per dire che almeno per me, cinque giorni sono leggermente troppi. Il quinto giorno davanti a un tempio, uno sbronzo magico mi ha versato addosso una ciotola d'acqua e poi mi ha offerto un bicchiere di sakè. Erano le 11 del mattino e avevo mangiato giusto due Espressi ma buon anno nuovo anche a lui. Il calendario buddhista parte dalla morte di Siddharta Gautama, il Buddha storico, nel 543 d.c., ed è quindi molto più avanti del nostro. Fortunatamente i Thai per i visti e tutto quello che più o meno riguarda l'estero, usano il nostro calendario. Comunque sia, buon 2558 a tutti. A Chiang Rai, per quanto sia a un passo dal leggendario Triangolo d'Oro, di cui ora direi non sia rimasto quasi nulla, non faccio nessuna escursione. Nonostante il clima sia finalmente fresco, non ho nessuna voglia di partecipare a trekking nella giungla, fare il bagno agli elefanti, il rafting non ha mai fatto per me e tanto meno l'ultimo grido del turismo d'avventura, Flight of the Gibbons, ovvero lanciarsi in una foresta piena di gibboni attaccati a funi metalliche (non è snobismo, è vecchiaia, lo so). E il turismo etnico, ovvero andare in visita alle tribù di montagna, semplicemente e senza dare giudizi, non lo comprendo. In una gita di una giornata o di un paio di notti, non vedo cosa si possa imparare o vedere delle tribù di montagna, tranne un mercatino per turisti o i vestiti tradizionali, che si possono osservare però anche dai venditori del Night Market. Non arrivo quindi a farne un problema etico, l'unica cosa che forse volevo vedere ma per pigrizia mi perdo, sono le famose donne giraffa, che fin di bambine indossano collari metallici in modo che il loro collo si allunghi in maniera innaturale, e ci sarei andato da occidentale colonialista a vedere dei fenomeni da baraccone, o dei freaks vittoriani. Più che altro sono incuriosito dall'apparente velocità (ricorda anche gli storici piedi minuscoli delle donne giapponesi) con cui riescono a distrarre per una vita l'evoluzione, ma non è comunque abbastanza per farmi fare un'escursione, dovrebbero come minimo avere due teste. Quindi giro sopratutto per la città, che è piccola, e vado a visitare templi. Andare per templi durante il Songkran è molto interessante, perché sono sempre pieni di gente, anche se le cose che non comprendo e le domande senza risposta si moltiplicano. In tutti i cortili dei templi sono state posizionate enormi piramidi di sabbia, ricoperte di oggetti, nastri e bandiere votive, coloratissime e con sopra i segni dello zodiaco cinese, che servono come omaggi agli dei e per acquisire meriti religiosi. Uno dei rituali che tutti seguono è gettare manciate di sabbia su queste enormi montagne, comprare candele, bandiere e aggiungerle alle altre, e ovviamente, essendo la festa dell'acqua, bagnare le piccole statue del Buddha in diverse posizioni che stanno all'esterno in tutti i templi. I cortili e le sale di preghiera sono affollati di thailandesi bagnati e gocciolanti che si fermano a pregare, ringraziare, chiedere favori, protezione e benevolenza, poi risalgono sui pickup, fanno rifornimento d'acqua e tornano per le strade a combattere per festeggiare il Capodanno. Questa unione di laico divertimento e non rispetto per nessuno, e la serenità e la condivisione della dimensione religiosa, è una delle cose più affascinanti del Songkran. Vado ovviamente a visitare il tempio del Buddha di smeraldo, dove devo temporaneamente ripensare a quello che ho scritto sul kitsch e i templi thailandesi. La piccola stanza in cui c'è il grande e splendido Buddha di smeraldo (è di giada, in realtà) è circondata per tutto il suo perimetro da larghe file di mattonelle quadrate di vetro verde, illuminate come l'insegna di un Motel. A parte rendere impensabile fotografare i misteriosi dipinti che incorniciano, rendono il tutto decisamente ed eccessivamente bizzarro. Accanto al tempio c'è anche il piccolo museo, il cui interno, coi suoi arredi e scale in legno scuro, è invece bellissimo. E si rivela anche utile, perché da alcune didascalie imparo finalmente il significato di alcuni oggetti, rituali o decorativi, comuni dei templi buddhisti. Sono esposte anche, con grande intelligenza, molte rappresentazioni scolpite del Buddha, sia antiche che moderne, provenienti da altri paesi e da diverse zone della Thailandia. A parte il lato didattico, è la cosa che mi è piaciuta di più: vedere come il tempo, la distanza, la differenza geografica, possa produrre così tante figure diverse dello stesso soggetto, oltretutto rigidamente codificato. Alcuni Buddha sembrano primitivi, con gli occhi enormi, in molti cambia l'enigmatico sorriso, i Buddha sdraiati birmani sono sinuosi, morbidissimi, sembrano quasi sensuali in confronto alla postura e alla forma rigida e lineare della versione thailandese. 16.04 – 23.04 CHIANG MAI Chiang Mai, come dicono tutti, è bellissima. Concordo anche, senza saperlo assolutamente spiegare, con chi parla di atmosfera particolare della città, di luogo in cui si potrebbe restare molto a lungo, addirittura forse viverci a lungo. E' sì piena di turisti ma al di là dello snobismo e della nostalgia dei grandi esploratori, molto spesso i luoghi turistici lo sono per qualche buona ragione. Anche Venezia è piena di turisti, anche Parigi, ma questo non ne scalfisce il fascino, almeno se non si sono visti gli stessi posti un secolo fa. La città vecchia è circondata da un quadrilatero di canali, assolutamente favolosi, che dividono in due le strade trafficate di Chiang Mai. La città vecchia inoltre, il cuore ovviamente del turismo, è densa di templi e di meraviglie, e credo che sia raro trovare tanta bellezza in così relativamente pochi metri quadrati. Chiang Mai è affollata anche in aprile, quando in fondo è bassa stagione, e fa un caldo decisamente infernale ma non conta, non ha importanza. I primi giorni mi ha ricordato un po' Sukhumvit a Bangkok, la zona cosiddetta internazionale, dove è più difficile trovare un ristorante thailandese che una churrascheria o un kebab, ma basta uscire dalla città vecchia, o cercare un po' e Chiang Mai rivela tutta la sua natura thai, dai mercati al cibo di strada, ai ristoranti all'aperto, al grande fiume che scorre sotto ponti crollati davanti al mercato dei fiori. Chiang Mai è un posto in cui sei contento di uscire ed andarci in mezzo, di camminarci dentro, di esserci, è non è poco. Ci tornerò, è quasi certo. INTERMEZZO n.2: La mia figura alla Peter Sellers Non sono più, grazie alle sigarette elettroniche, un grande fumatore ma rimango un fumatore. Questo comporta che a parte i sempre più rari hotel che offrono ancora smoking rooms, io perda spesso giornate intere a prenotare online o a cercare fisicamente strutture alberghiere dotate di balconi. Nelle abitazioni private tra l'altro, il totalitarismo antifumo thailandese non fa del balcone una certezza, ci sono condomini in cui non si può fumare nemmeno all'esterno, negli alberghi invece un balcone è direi sempre sinonimo di permesso di fumo. A Chiang Mai sto infatti nell'ottimo Bed and Terraces, che ha degli splendidi balconi ad ogni piano. Ed è esattamente nel balcone del quarto piano che dopo la doccia serale, con solo un asciugamano stretto in vita e una sigaretta in mano, mi chiudo involontariamente fuori dalla stanza. Sono stati brevi momenti di stupore, incredulità, terrore, pensieri fatali intervallati da domande su cosa avrebbe fatto MacGyver al posto mio e idee mutevoli su quale sarebbe stata la posizione migliore per passare la notte all'aperto. Fortunatamente nella stanza accanto c'era una coppia che stava per andare a cena, e dopo tre urla da parte mia e una comprensibile titubanza da parte loro, mi hanno salvato la vita andando a chiamare il giovane thai alla reception, che dopo vari tentativi ha trovato la chiave giusta. E' stato totalmente comico, anche se leggermente traumatico. Da allora quando esco in balcone a fumare mi porto il cellulare, controllo due volte che la porta non si possa chiudere, inconsciamente mi assicuro che ci sia una finestra illuminata a cui eventualmente chiedere aiuto e così via. Successivamente a Bangkok sono stato al ventiseiesimo piano di un grattacielo, in un appartamento che aveva un balcone minuscolo sulla città illuminata. Ho pensato che se mi fosse successo lì, mi avrebbero trovato dopo una settimana trasformato in zombie e replicante, mentre attorno a me la scenografia di Blade Runner continuava con indifferenza ad accendersi e spegnersi senza sosta. MOMENTO QUARK DISCLAIMER: Come già dall'India, anche qui vado di ipotesi ed improvvisazione e parlo con baldanza ed improbabilità del Buddhismo e di quello che vedo. Se siete storici, monaci buddhisti o afflitti da precisione compulsiva, saltate questa parte. Visitando così tanti templi favolosi, mi rendo conto che se voglio capirci qualcosa devo cercare informazioni, e anche se pensavo fosse molto più semplice trovarne, questo è più o meno tutto quello che so: cominciamo dai draghi che decorano quasi sempre le scale d'ingresso ai templi, dicendo che, purtroppo o per fortuna, in realtà draghi non sono. Sono rappresentazioni di Naga, creature metà uomo e metà serpente della mitologia induista, che come i draghi cinesi dovrebbero essere un simbolo benefico e di protezione. Una delle posizioni classica del Buddha è infatti quella in cui sta “seduto sul Naga”, che lo protegge con la sua testa che si apre come quella di un cobra e che in quel caso è divisa in sette teste più piccole. Nella versione a sette teste in Thailandia viene spesso usato come decorazione angolare della parte superiore dei templi, in Cambogia invece spesso è molto più comune vederlo a sette teste che nella rappresentazione simil-drago thailandese, sui bordi delle scalinate dei templi e anche come coppia di sentinelle all'ingresso di alcuni ponti cittadini. I Naga sono sempre, comunque, strepitosi. A Chiang Mai c'è un tempio in cui l'intero viale d'ingresso è protetto da una coppia di Naga, che saranno lunghi una ventina di metri. Per la consueta rubrica “Forse non tutti sanno che”, va detto che il femminile di Naga è Nagini, il nome che J.K. Rowling ha scelto per l'enorme serpente di Lord Voldemort nella saga di Harry Potter. Altra figura sempre presente, di solito mentre punta il becco verso il cielo dagli angoli dei tetti, è Garuda, il mitico animale cavalcatura di Vishnu, metà uomo e metà aquila gigantesca. A volte è usato anche come una cariatide decorativa, a fingere di tenere sulle spalle travi e portici. Garuda, che è anche uno dei simboli nazionali della Thailandia, tra tutti i bizzarri e complicati Dei e quasi Dei dell'Induismo e del Buddhismo, è uno dei pochi che mi inquieta, non saprei dire il perché. E poi appunto, le posizioni del Buddha, che in effetti sono codificate e si chiamano mudra (in realtà è ancora più complicato ma non sapendone nulla devo per forza semplificare). I diversi mudra sono sempre l'insieme della posizione del corpo, delle mani e spesso anche delle dita del Buddha, come quando per esempio è seduto e le sue mani sembrano mettere in moto un meccanismo immaginario, che in questo caso è il darmachakra, ovvero la ruota del Dharma, scolpita o dipinta in tutti i templi, sulle finestre, lungo le mura esterne e all'interno delle sale di preghiera. Nei templi thailandesi la posizione più comune è certamente quella del Buddha seduto con la mano sinistra in grembo e la destra rivolta verso la terra. Rappresenta e ricorda un episodio fondamentale della vita del Buddha, quando prima di raggiungere il Nirvana stava meditando immobile sotto l'albero Bodhi, e per resistere alle tentazioni del demone Mara, toccava la terra per chiederle aiuto, forza e determinazione. Se il Buddha è seduto e tiene entrambe le mani in grembo invece, è nella posizione della meditazione. Il Buddha in piedi con la mano destra sollevata e il palmo aperto verso l'esterno ricorda quando pose fine a una disputa tra parenti e come conseguenza teorica la sua capacità di portare la pace nel mondo. In piedi con i palmi delle due mani rivolti in avanti dovrebbe impedire i disastri naturali. Il Buddha sdraiato è il Buddha dopo aver raggiunto l'illuminazione, finalmente libero e in pace. La mia preferita però è il Buddha che cammina, che si trova non in tutti i templi e comunque sempre all'esterno. Credevo fosse molto più facile trovare informazioni in merito ma così non è, quindi vado di discreta immaginazione. Ci sono almeno due raffigurazioni del Buddha che cammina, una delle quali, col Buddha che semplicemente cammina, dovrebbe ricordare il periodo da profeta di Siddharta, quando girava per le campagne e le città ad insegnare la sua idea del mondo. Nell'altra, il Buddha è raffigurato mentre fa un passo in avanti, nella mano destra ha un bastone, mentre con la sinistra tiene appoggiato un ombrello sulla spalla. A tracolla ha delle pentole, una teiera, il necessario ad un viandante per sopravvivere all'aperto. Il significato dovrebbe essere quello del Buddha che va verso l'Illuminazione e/o simboleggiare un' offerta di rifugio e protezione ma in questo caso la precisione non ha importanza perché io, con molto rispetto, ci vedo sempre il Buddha vagabondo, il Buddha sulla strada. E ovviamente è per questa ragione bambina che è la posizione che mi piace di più. E non so perché mi fa sempre pensare a San Cristoforo, il cui nome in realtà è una funzione leggendaria (portatore di Cristo) che oltre ad essere il patrono dei viaggiatori, era anche, o così credevano nel Medioevo, un gigante sciita dalla testa di cane. Comincio a credere che ogni filosofia o religione abbia delle nicchie immaginarie e fantastiche, dei miti da ragazzini e dei protagonisti minori curiosi e bizzarri, al solo scopo di attrarre gli atei come me. Parlo del Buddha, e non di Buddha, perché nel buddhismo Theravada, il più antico e quello diffuso in Thailandia, ci sono stati e ci saranno infiniti Buddha, e nella nostra era è previsto ce ne sia un altro. Devo ammettere che per quanto comprenda senza sforzo la differenza tra il Buddha e il Dio di una religione rivelata come il Cattolicesimo o l'Islamismo, questa molteplicità di Buddha mi riesce abbastanza difficile da accettare a livello logico. Diciamo che è un'idea che mi scatena decine di domande, tutte probabilmente con pronte risposte di fede, ma ugualmente difficili da immaginare. Nell'altra grande scuola buddhista se non sbaglio, il Buddha storico è soltanto uno, e gli altri sono al massimo Bodisathva, ovvero persone che hanno raggiunto l'illuminazione ma ci rinunciano per aiutare gli altri a trovarla, o creature divine ma a livello gerarchico comunque inferiori al Buddha. L'interno di tutti i templi è poi quasi sempre affrescato, da pittori dal talento più o meno buono. La maggioranza dei dipinti rappresenta gli episodi salienti della vita del Buddha, nell'equivalente di una nostra Via Crucis, anche se nei templi thai è tutto decisamente più colorato, ma non per questo talvolta meno drammatico e funereo. A volte ci sono invece scene di battaglie di massa che non so riconoscere, probabili scene di qualche poema epico indiano, altre volte scene storiche di vita quotidiana e una volta ho visto anche affreschi cruenti, crudeli e molto fantasiosi, che ricordavano Bosch. Gli affreschi più misteriosi sono però quelli che mostrano Buddha e altri Buddha o Bodisathva stilizzati e dipinti con linee eleganti e sottili, che sembrano galleggiare in uno spazio monocromo a una sola dimensione, quasi vuoto tranne che per alcuni labirinti geometrici, ruote del Dharma o altri segni indecifrabili. In alcuni templi le pareti sono interamente ricoperte di queste piccole figure di Buddha che sembrano replicarsi all'infinito su sfondi giallo pallido e che confondono lo sguardo, come se in profondità nascondessero qualcosa di psichedelico. Mi sono chiesto se in una Chiesa cattolica so davvero riconoscere e dare un senso e un significato agli affreschi, all'architettura e alla maggior parte dei rituali, e mi sono risposto di sì, non so capire però se sia solo un'ovvia questione di educazione e di abitudine o anche di minore complessità generale. La forza del Cristianesimo sta certamente nella sua semplicità, e non mi è ancora chiaro se invece il Buddhismo mi sembra così complicato per via della mia ignoranza o lo è davvero. Nonostante tutto comunque, la maggior parte delle mie mancanze sui templi buddhisti è destinata almeno temporaneamente a rimanere senza risposta. Non ho tutt'ora idea di cosa siano e a cosa servano molti oggetti rituali o simbolici, non sono certo che la strana presenza di orologi a pendolo nelle sale di preghiera sia davvero semplicemente dovuta alla necessità di controllare il tempo da parte dei monaci, e molte decorazioni, statue, rappresentazioni grafiche e pittoriche continuano a restarmi ignote. E forse non smetterò mai di chiedermi perché a Chiang Mai, in un tempio pieno di galli, vivi stavolta, e già oltretutto completamente decorato con figure di animali impossibili, ci sia, in un piccolo spiazzo d'erba davanti all'entrata, una statua di Paperino. Una delle cose che più mi colpisce dei templi di Chiang Mai sono le frequenti statue iperrealiste di vecchi monaci, famosi per la loro vita santa e per essere stati abati di monasteri (o meglio, diciamo che questo è tutto quello che so). Le stesse statue le vedrò gigantesche qualche tempo dopo a Bangkok, nel piccolo parco di scoiattoli che c'è a Sukhumvit, e anche di dimensione ridotta, vendute in un negozio di antiquariato a Siem Reap. Non ho idea quindi se siano un'esposizione temporanea, come a Bangkok, o se invece nei templi di Chiang Mai siano la norma. L'iperrealismo e la somiglianza umana di questi anziani monaci seduti in meditazione e avvolti nella semplice tunica arancione, è strabiliante, grazie a scultori di ottimo livello. I fedeli li venerano e li pregano, e lasciano offerte davanti alle loro statue: monete, fiori, incensi accesi. Quasi tutti i volti delle statue hanno espressioni severe e tranquille, quasi santificate nella scultura, un paio mostrano invece una specie di sorriso saggio ed allegro. Le sculture quando sono in scala 1:1, sono somiglianti in maniera inquietante al modello originale, che talvolta si vede in fotografia, e pur nella loro immobilità sembrano assolutamente umane. Nella penombra dei templi il realismo è davvero impressionante, dai capelli alle unghie, ai peli, alle rughe e alle cicatrici. E con tutto il rispetto che ho, inevitabilmente mescolato con un' immaginazione adolescenziale, quelle figure che in tutto e per tutto sembrano vive ma che so per certo che sono morte, mi sembrano Spettri. Spettri benevoli, appena nati, che da un momento all'altro si alzeranno in piedi e cominceranno a parlare. Non vorrei sembrare blasfemo, ma sarebbero dei protagonisti perfetti di un horror di serie B indimenticabile. BELLEZZA L'interno del tempio è per metà inaccessibile ai turisti, perché è in corso la preghiera dei monaci, che stanno inginocchiati davanti all'altare mentre un monaco più anziano intona con voce profonda una cantilena, che se ne sapessi di più potrei definire forse un mantra. Si arriva però a vedere da vicino un'impronta del Buddha. Le impronte del piede del Buddha, quasi sempre stilizzate, ovvero con le dita tutte della stessa lunghezza, possono essere di due tipi, scolpite in una sorta di bassorilievo orizzontale, oppure in forma di stele verticali, minuziosamente e magnificamente decorate. Al Folk Lanna Museum imparerò qualcosa sulla simbologia dell'estremamente complessa decorazione dell'impronta del Buddha ma la prima volta che la incontro la guardo in totale ignoranza del suo significato. Eppure, come già la calligrafia delle moschee, che non comprendendola osservo sempre solo come stupendo segno grafico, l'impronta del Buddha mi colpisce come una meraviglia immediata e naturale, che non ha bisogno di qualche tramite o di una conoscenza pregressa per affascinare l' osservatore. E' l'Incomprensibile che per una volta, invece di sembrarci ostile e metterci in guardia, brilla di quiete. Uno di quegli oggetti che rendono ovvio il fatto che nonostante o al di là delle culture e delle differenze, ci sia davvero qualcosa di primitivo ed universale che a livello profondo ci unisce tutti, nessuno escluso, nella stessa percezione della bellezza. La sezione aurea insomma, o qualcosa del genere. Solo Buddhista. Dal nord della Thailandia, anche per soddisfare le esigenze del visto a doppia entrata, sono andato un mese in Cambogia. Non sono certo che scriverò anche sulla Cambogia, per pigrizia e perché l'aver scoperto i Khmer Rossi mi ha bloccato per un sacco di tempo. Per ora ho quasi scritto solo il perché, alla fine, in un racconto di viaggio, ho deciso di non parlare dei Khmer Rossi, ma non so se in questi ultimi giorni riuscirò a vincere una pigrizia così efficiente come quella attuale. La Cambogia comunque mi è piaciuta moltissimo, e si è certamente guadagnata un posto tra i paesi in cui tornerò, magari anche abbastanza a lungo, anche per via dei suoi costi sorprendentemente irrisori (una stecca di Winston costa 7, dico 7, USD). Dalla Cambogia son tornato in Thailandia, ho volato a Samui, ma il caldo di giugno era davvero troppo ostile, persino il mare era bollente e fare il bagno era quasi spiacevole. Tornando verso nord, ho fatto tappa ad Hua Hin, località balneare piuttosto sofisticata dove risiede molto spesso il Re. C'è una bella spiaggia, lunghissima, anche se, cosa strana per me che di solito vado nelle isole, costeggiata di alberghi e di grattacieli. Ci ho passato comunque qualche giorno allegro, in un pacifico e minuscolo resort di bungalow d'argilla, in compagnia di un ex camionista olandese, ottimo conversatore e grande conoscitore della Thailandia. E' stato costretto ad andare in pensione per via di un'operazione al cuore, che deve tenere a bada con 8 pastiglie quotidiane, ma in realtà la sua cura personale consiste in sigarette al mentolo e rum thailandese più Diet Coke dalle quattro del pomeriggio fino a notte fonda. Poi sono tornato a Bangkok e ho deciso di restarci per più di un mese. Ci sono ancora, e non me ne sono ancora pentito. Sto guardando com'è vivere in una grande città, e per adesso è stata un'ottima idea. Tutto qua, ormai tra dieci giorni torno, a presto. |